La prescrizione decorre dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere giovedì, Ott 4 2007 

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La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con sentenza del 18 settembre 2007, n. 19355 ha stabilito che «la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere» proprio perché la sua funzione principale è quella di assicurare certezza ai rapporti giuridici.

Secondo la Cassazione, infatti, può accadere che la prescrizione compia il suo corso senza che l’interessato sappia di essere titolare di un diritto.

Fatto e diritto
Un dipendente aveva chiesto all’azienda il risarcimento del danno biologico e morale derivante da due patologie (neoplasia vescicale e otite auricolare sinistra) che imputava alle sostanze nocive presenti nell’ambiente di lavoro, ma il Tribunale al quale si era rivolto aveva rigettato il ricorso in quanto aveva dichiarato prescritto il diritto del lavoratore stesso.
La Corte di Appello, al contrario, aveva rigettato l’appello con riferimento all’eccezione dì prescrizione.

Le ragioni dell’azienda
L’azienda ha allora presentato controricorso denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 2935 c.c., omesso esame di punti decisivi e carenza di motivazione.

Le ragioni del dipendente
La difesa del ricorrente ha sostenuto che, nel particolare settore della tutela della salute del lavoratore, la decorrenza della prescrizione dell’azione risarcitoria nei confronti del datore di lavoro non può essere collegata solo alla manifestazione o esteriorizzazione del danno, come avviene in settori diversi, ma presuppone la conoscibilità della natura professionale della malattia.
Inoltre ha lamentato che l’azienda non avrebbe informato il lavoratore e il dovere di informazione sui rischi delle lavorazioni (posto dal legislatore a carico del datore di lavoro) richiede, per la decorrenza della prescrizione triennale, che il lavoratore sia stato in grado di conoscere la natura professionale della malattia.

La decisione della Cassazione
Secondo la Cassazione, però, l’invocato art. 2935 del c.c. stabilisce che «la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.» in quanto la funzione principale della prescrizione è quella di assicurare certezza ai rapporti giuridici. Secondo la stessa Cassazione, infatti, dottrina e giurisprudenza sono concordi nell’affermare che l’impossibilità di far valere il diritto (alla quale l’art. 2935 cod. civ. attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione) è solo quella che deriva da cause giuridiche che ostacolino l’esercizio del diritto e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, per i quali il successivo art. 2941 prevede solo specifiche e tassative ipotesi di sospensione.
Ne consegue, dunque, la prescrizione possa compiere il suo corso senza che l’interessato sappia di essere titolare di un diritto.
Infatti, per la Corte, la prescrizione dell’azione nei confronti dell’INAIL, per conseguire le prestazione di cui al D.P.R. n. 1124/65, inizia a decorrere dal momento in cui la malattia professionale si sia manifestata con certezza, abbia raggiunto la misura di invalidità indennizzabile e ne sia conoscibile la eziologia professionale
Per la Cassazione la conoscibilità non solo è cosa diversa dalla conoscenza, ma non è che la possibilità che un determinato elemento (nella fattispecie la origine professionale di una malattia) sia riconoscibile in base alle conoscenze scientifiche del momento, mentre non rileva (e non potrebbe rilevare, pena lo sconfinamento nel campo della pura soggettività) il grado di conoscenze e di cultura del soggetto interessato dalla malattia.
È fin troppo evidente che non si può far decorrere la prescrizione dal momento in cui si sia letto un determinato articolo o un testo medico.

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La ripetizione delle assunzioni a termine può avere finalità elusive della legge giovedì, Ott 4 2007 

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LA RIPETIZIONE DELLE ASSUNZIONI A TERMINE PUO’ AVERE FINALITA’ ELUSIVE DELLA LEGGE – Con conseguente diritto del lavoratore alla stabilizzazione (Cassazione Sezione Lavoro n. 17932 del 23 agosto 2007, Pres. Senese, Rel. Picone).

Liana F. è stata assunta alle dipendenze della RAI quattordici volte in tredici anni, fra il 1983 e il 1996, con contratti a tempo determinato. Ella ha chiesto al Tribunale di Roma l’accertamento della illegittimità dei termini apposti ai singoli contratti e l’esistenza di un unico rapporto a tempo indeterminato, con conseguente suo diritto a riprendere servizio e al risarcimento del danno. A sostegno della sua domanda la lavoratrice ha invocato, tra l’altro, l’art. 2 della legge n. 230 del 1962 secondo cui, in caso di ripetute assunzioni a termine, deve affermarsi l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato ove si accerti che il datore di lavoro abbia inteso eludere la disciplina legislativa limitatrice del precariato. Il Tribunale di Roma ha accolto parzialmente la domanda. La sua decisione è stata riformata dalla Corte d’Appello che ha accertato, in base all’art. 2 della legge n. 230 del 1962, l’esistenza di un intento elusivo, desumendolo da una serie di elementi: il numero e la frequenza delle assunzioni a termine, la idoneità della qualifica di programmista regista attribuita alla lavoratrice nei vari contratti, la sostanziale identità delle mansioni espletate, l’impiego in programmi che sebbene specifici, si inserivano tutti nell’ordinaria attività aziendale nel settore “varietà e notizie”. L’azienda ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte di Roma per vizi di motivazione e violazione di legge.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 17932 del 23 agosto 2007, Pres. Senese, Rel. Picone) ha rigettato il ricorso. Gli elementi accertati in fatto dalla Corte di Roma – ha affermato la Cassazione – giustificano sotto il profilo della logica la conclusione che, mediante i reiterati contratti a termine, sia stata soddisfatto il fabbisogno ordinario di personale in possesso di quella determinata professionalità.

La legge n. 230 del 1962 è stata abrogata, ma l’ipotesi di elusione può configurarsi anche nella vigenza della nuova disciplina dei contratti a termine, recata dal D. Lgs. n. 368/01, ove dalla ripetitività dei contratti possa desumersi che il lavoratore non sia stato assunto per esigenze temporanee (N.d.r.).

Da Legge e Giustizia   la notizia qui

Va a vivere con papà? Fuori la ex dalla casa familiare giovedì, Ott 4 2007 

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Sulla casa familiare hanno più diritti i figli legittimi di quelli naturali, nati da una successiva relazione. Infatti quando l’abitazione è stata assegnata alla ex, le può essere tolta se il figlio va a vivere con il padre. Ciò anche se lei è comproprietaria dell’immobile e se nel frattempo ha avuto un altro figlio per il quale chiede la tutela.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 20688 del 2 ottobre 2007, ha respinto il ricorso di una mamma presentato contro la decisione della Corte d’Appello di Brescia che, a luglio 2005, aveva ridato l’appartamento di famiglia al marito perché il figlio era tornato a vivere con lui.

Da Cassazione.net    la notizia qui