Agevolazioni per assunzione di lavoratrici con contratto d’inserimento lunedì, Ott 29 2007 

inserimento-lavoratrici.jpg

Ministero del Lavoro, Decreto 31 luglio 2007.

Sulla G.U. n. 250 del 26 ottobre 2007 è stato pubblicato il decreto 31 luglio 2007, del ministero del lavoro e della previdenza sociale, recante “Identificazione delle aree territoriali di cui all’articolo 54, comma 1, lettera e), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276”.
Il decreto, in particolare, stabilisce che gli incentivi economici connessi alla stipula di contratti di inserimento lavorativo si applichino ai contratti stipulati ai sensi dell’art. 54, comma 1, lettera e) del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 a condizione che le lavoratrici risiedano nei territori di Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna.

Da NewsFood   la notizia qui

gazzetta-ufficiale.pdf

La mediazione creditizia e la pubblicità ingannevole lunedì, Ott 29 2007 

mediatore-creditizio.jpg

1. La mediazione creditizia

Ai sensi della vigente normativa (Legge 7 marzo 1996, n.108, Regolamento D.P.R. 28 luglio 2000 e Provvedimento 29 aprile 2005 emesso dall’Ufficio Italiano dei Cambi – la mediazione creditizia (vedasi anche l’art. 1754 c.c. e ss.) consiste nel mettere in relazione, anche attraverso lo svolgimento dell’attività professionale di consulenza, banche o intermediari finanziari determinati (D.lgs. 1 settembre 1993 n.385 – T.U. delle Leggi in materia bancaria e creditizia) con la potenziale clientela al fine della concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma.

L’esercizio dell’attività di mediazione creditizia è subordinato all’iscrizione della persona fisica o giuridica ad un apposito Albo tenuto dall’Ufficio Italiano dei Cambi in Roma (sotto la vigilanza della Banca d’Italia), in difetto l’articolo 16, comma 7, della L. n.108/1996 prevede la pena della reclusione da sei mesi ad un anno, nonché l’irrogazione di una multa. Come per l’esercizio di altre attività, è richiesto anche il rispetto degli obblighi di identificazione, conservazione delle informazioni e di segnalazione delle operazioni sospette di cui all’art. 16, comma 4, della L. n. 108/1996, art.1, comma 1 del D.lgs. n.374/1999, dell’art.2, comma 1, lettera q) e comma 2 del D.lgs. n.56/2004, Decreto del Ministero Economia e Finanze 3 febbraio 2006 n.143.

L’attività in questione consiste nel ricevere le richieste di finanziamento da parte della clientela, esplicare le principali caratteristiche e condizioni contrattuali dei prodotti di finanziamento, svolgere una prima istruttoria delle pratiche per verificarne la fattibilità (in termini di capacità reddituale dei richiedenti, consistenza dei cespiti cauzionali, grado di solvibilità etc.) per poi inoltrarle all’ente mutuante, previa individuazione del prodotto di finanziamento che risponde maggiormente alle esigenze espresse da ciascun cliente. In presenza di particolari convenzioni stipulate tra l’ente mutuante ed il mediatore creditizio alcuni prodotti di finanziamento possono essere proposti alla clientela a condizioni più vantaggiose ed il servizio può essere retribuito direttamente dall’istituto mutuante, senza costi di provvigione aggiuntivi o comunque occulti a carico della clientela. Ciò può consentire al consumatore di conoscere esattamente il costo effettivo del finanziamento non solo in termini di interessi, oneri e spese di istruttoria, ma anche di mediazione in quanto l’ente mutuante è tenuto a sintetizzare queste informazioni in termini percentuali con un parametro chiamato I.S.C. – Indicatore Sintetico di Costo (un tempo definito T.A.E.G.).

Tuttavia, anche in presenza di siffatte convenzioni, l’attività deve restare indipendente, cioè deve essere svolta senza legami con le parti che vengono messe in relazione dal mediatore, quali possono essere i rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza.

In ogni caso, il mediatore creditizio non ha il potere di stipulare i contratti di finanziamento, né di effettuare, per conto di banche o di intermediari finanziari, l’erogazione dei finanziamenti richiesti, né eventuali anticipi di questi, né di decidere la forma di pagamento o di incasso di denaro contante, di altri mezzi di pagamento o di titoli di credito, fatta eccezione per la mera consegna di assegni non trasferibili integralmente compilati dall’intermediario o dal cliente.

Le Banche e gli Intermediari Finanziari dopo aver ricevuto la pratica per mezzo del mediatore creditizio “possono”, ma non assumono alcun obbligo, di deliberare la concessione del finanziamento richiesto dal cliente. Soltanto in seguito all’esame delle garanzie offerte (quali ad esempio il reddito dichiarato ed accertato, lo stato di solvibilità del richiedente, i cespiti cauzionali, eventuali garanzie personali e/o reali prestate anche da terzi etc.), all’applicazione di specifici parametri aziendali, che vengono adottati in piena autonomia da ciascun ente mutuante, si determina l’esito positivo o negativo della richiesta di finanziamento. Così pure il mediatore creditizio è tenuto a svolgere le attività sopra enumerate in piena autonomia e senza assumere alcun obbligo di garanzia nei riguardi della propria clientela in ordine all’esito positivo di ciascuna richiesta di finanziamento….[continua…]

Da Filodiritto  la notizia qui

L’Avvocato Ue boccia i condoni Iva 2003: «Premia gli evasori» lunedì, Ott 29 2007 

evasione-fisco.jpg

Il condono Iva previsto nella Finanziaria 2003 viola gli obblighi della sesta direttiva Iva e il principio generale della leale collaborazione tra gli Stati membri e la Comunità europea.

Lo sostiene l’ avvocato generale della Corte di giustizia europea Eleanor Sharpston nelle sue conclusioni, relative alla causa che vede la Commissione europea contro l’Italia. Secondo il giudizio dell’Avvocato generale il condono Tremonti previsto dalla legge 289/2002 premia «l’evasione più dell’assolvimento degli obblighi fiscali». Dunque, per l’Avvocato generale Eleanor Sharpston la Corte di giustizia europea dovrebbe condannare l’Italia per i condoni fiscali sull’Iva emanati nel 2003 dal governo Berlusconi e dall’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Ora si dovrà attendere la sentenza della Corte.

La Commissione europea aveva chiesto di condannare l’Italia in quanto, prevedendo in maniera espressa e generale la rinuncia all’accertamento delle operazioni imponibili effettuate nel corso di una serie di periodi d’imposta, ha violato gli obblighi della sesta direttiva Iva. L’Italia aveva sostenuto che l’effetto del condono non è una rinuncia generale e indiscriminata a ogni attività di verifica, ribadendo che solo una parte di contribuenti Iva se ne è avvalsa, che è stato estremamente produttivo in termini di tributi recuperati e che, quindi, si è verificato uno sfruttamento razionale di risorse limitate, ricompreso nella discrezionalità concessa agli Stati membri.

La Commissione europea contestava gli articoli 8 e 9 della legge 209/2002: l’articolo 8 consentiva di «regolarizzare» le dichiarazioni che avrebbero dovuto essere presentate prima del 31 ottobre 2002, mentre l’articolo 9 riguardava la «definizione automatica» per gli anni pregressi (i contribuenti che chiesero la definizione erano tenuti a presentare dichiarazioni per tutti i periodi d’imposta relativamente ai quali i termini di presentazione erano scaduti al 31 ottobre 2002). Da una parte la Commissione descrive il contestato condono come una rinuncia generale e indiscriminatata al diritto di procedere ad accertamento e verifica, dall’altro l’Italia ha ribadito la serie di limiti alla possibilità di far ricorso alle disposizioni del condono.

L’Avvocato segnala che il controverso condono è stato prorogato per alcuni anni successivi, «forse creando un’aspettativa di futuri condoni e quindi riducendo la probabilità che i contribuenti si conformino agli obblighi di legge». Il buon senso e le analisi economiche, secondo Eleanor Sharpston, sottolineano come le disposizioni del condono sono responsabili di condurre a una minore conformità alla disciplina Iva almeno nel medio e lungo termine, «in quanto premiano l’evasione più dell’assolvimento degli obblighi fiscali e, considerate in un contesto storico, lasciano intravedere una plausibile speranza in altri rimedi simili nel futuro».

Da Il Sole 24 Ore   la notizia qui

In caso di cessione d’azienda, l’agente del cedente può recedere dal contratto se il cessionario non offre adeguate garanzie lunedì, Ott 29 2007 

contratto-di-cessione-daazienda.jpg

Per giusta causa (Cassazione Sezione Lavoro n. 21445 del 12 ottobre 2007, Pres. Mattone, Rel. Monaci).

La società V.A.R. Vendita Autoveicoli Ricambi ha ceduto la sua azienda alla Intermotors con effetto dal 1.6.1994. Di ciò essa ha dato comunicazione al suo agente Erminio D. facendogli presente che il rapporto di agenzia sarebbe proseguito con la cessionaria. L’agente ha dichiarato di non accettare il trasferimento e di considerare risolto il rapporto. Pertanto egli si è rivolto al Giudice del Lavoro di Novara per ottenere il pagamento del preavviso e delle indennità di risoluzione del rapporto. Il Giudice ha rigettato la domanda in quanto ha ritenuto che in base all’art. 2558 cod. civ. la Intermotors era subentrata nel rapporto di agenzia e conseguentemente Erminio D. non aveva più alcun diritto nei confronti della V.A.R. Questa decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Torino. Erminio D. ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione della Corte di Torino per vizi di motivazione e violazione di legge. In particolare egli ha sostenuto che i giudici dell’appello avrebbero dovuto ritenere l’esistenza a suo favore di una giusta causa di recesso costituita dal fatto che nel bilancio di esercizio al 31.12.92 della società cessionaria risultavano perdite tali da indurre dubbi sulla sua effettiva solvibilità. La Corte di Torino, secondo l’agente, avrebbe dovuto inoltre ravvisare la violazione da parte della V.A.R. degli obblighi di lealtà e correttezza previsti dall’art. 1175 cod. civ. per non averlo essa preavvertito dell’intenzione di cedere l’azienda mettendolo in condizioni di recedere dal contratto prima della cessione.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 21445 del 12 ottobre 2007, Pres. Mattone, Rel. Monaci) ha accolto il ricorso. Se non può essere configurato un obbligo sistematico di chi cede una azienda di informare preventivamente i propri agenti della cessione e dell’identità del cessionario – ha affermato la Corte – è anche vero che ai sensi dell’art. 1175 cod. civ. le parti di un rapporto obbligatorio “devono comportarsi secondo le regole della correttezza”, e che ai sensi dell’art. 1375 cod. civ. “il contratto deve essere eseguito secondo buona fede”. Queste regole di carattere generale sono applicabili anche al contratto di agenzia, come a qualsiasi altro contratto, ed alle obbligazioni che ne derivano. La violazione di questi obblighi di lealtà e buona fede – ha osservato la Corte – comporta la responsabilità per i danni, che eventualmente possano esserne derivati, e, con specifico riferimento al contratto di agenzia, può comportare, se la sua gravità lo giustifica, una giusta causa di risoluzione del rapporto; anche la cessione dell’azienda, con conseguente subingresso nel rapporto del cessionario, può integrare una ipotesi di giusta causa di recesso, se attuata con modalità tali da comportare violazione degli obblighi di correttezza e buona fede nei confronti dell’agente…[continua…]

Da Legge e Giustizia    la notizia qui